Google+ Il Giullare Cantastorie - Scrittori, artisti e band emergenti: marzo 2014

lunedì 31 marzo 2014

Poesia da Twitter di Rosanna Salvadori

Stanotte la ninnananna di una carezza 
sulla tua pelle tiepida 
non allenta la morsa 
delle mie pene.

Dopo la pioggia - Giovanni Zunico

Apparve un sole caldo, 
dai raggi vividi.

Imperterriti bagliori
attraversano la spira
di un fumo denso.

Venne di nuovo la notte
a porsi come l'infante
celeste e legittimo
di un padre stanco.

Io stesso afflitto 
dall'opera dell'uomo,
indegna al creato.

Parole - Davide Isopo

Dardi scagliati dal cuore nell'aria, 
Pietre che costruiscono muri ma 
anche ponti per unire anime in 
cerca d'ascolto.

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La voce di Tomasi di Lampedusa - Lorena Bruno

Mia madre mi diceva di leggerlo, ma io non ne volevo sapere. Quel Gattopardo lo presi in mano a 14 anni e lo posai poche pagine dopo. A 19, però, due professori proposero un corso monografico sullo spazio nella letteratura: potevamo lavorare, a scelta, su Verga o su Tomasi di Lampedusa. A naso, mi sembrò che Tomasi avesse un respiro più internazionale, meno soffocante della povertà del Ciclo dei Vinti di Verga, così scelsi Il Gattopardo, finalmente. 

Certi scrittori morti ti mancano. Ma hanno lasciato qualcosa di così immenso da poter sperare di sentir sempre parlare di loro, di intravedere in libreria qualcosa che li riguardi. In fondo non sono poi così morti.

Scrivevo qui un po’ di tempo fa e da allora non ho atteso tanto. C’è uno scrittore che ama il racconto, come genere letterario; ne scrive di bellissimi, ne legge di continuo, ha la cultura del racconto. Ha incontrato La sirena di Tomasi di Lampedusa e ne è rimasto colpito a tal punto da scriverci un pezzo, è Luca Ricci. A me è piaciuto moltissimo leggere il suo Mabel dice sì, quindi sapere di questa passione per il racconto di Lampedusa è stata una bellissima sorpresa, di quelle che appena le scopri sorridi da un orecchio all’altro.

La sorpresa più bella, però, è stata scoprire una nuova edizione molto particolare del racconto: un cofanetto Feltrinelli con un CD su cui è registrata la voce di Lampedusa che legge il suo testo. Sono corsa in libreria, dove ho cominciato a cercare tra gli autori con la T. Sfilo il cofanetto dallo scaffale e non faccio in tempo a guardarlo che qualcuno me lo toglie delicatamente dalle mani. ”E’ il migliore racconto italiano del ’900″, dice. Lo so, rispondo, su Tomasi di Lampedusa ho fatto la tesi di laurea. E’ un poco più che cinquantenne, mi fa domande sulla tesi, sul professore, mentre scartabella questo e quel libro. “Questo è un bel romanzo”, dice agguantando La storia di Elsa Morante, io gli dico che non l’ho ancora letto e lui me lo regala. “Lampedusa è morto a Roma, c’è una lapide in suo ricordo a piazza Indipendenza”, “Grazie, ma come faccio a trovarla?” dico riferendomi a lui, non alla lapide. Sta già uscendo dalla libreria coi suoi figli, allarga le braccia. Subito dopo sfoglio il libro della Morante e trovo un pezzo di carta su cui un indirizzo email era stato scritto a penna.

“C’è anche qualcun altro che ti regala dei libri”, dice il mio ragazzo. Aveva preso per me Il segreto del bosco vecchio scritto e illustrato da Buzzati. Che scelta delicata, penso. Il regalo più bello.

Lampedusa pensavo avesse una voce grave. Il tizio in libreria invece l’aveva definita nasale…aveva ragione.

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Haiku di Mr. BornTweetty

Come legioni 
in battaglia, diserto: 
libero di te

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domenica 30 marzo 2014

Haiku di Mr. BornTwetty

Breve fuga da
nere accuse.. vere 
come dolore.. 

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Ti cerco... - Davide Isopo

Ti cerco in un sospiro, 
Ti cerco in una nuvole, 
Ti cerco in una canzone, 
ma ti trovo solo dentro di me!

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Estratto del romanzo "L'enigma delle anime perdute" - Manuela Paric


SINOSSI 


Un sole pieno, giallo e caldo. Non una nuvola. Nessuna brezza. Afa. Le strade luccicanti come se fossero state cotte dentro una gigantesca fornace e piccioni che si riparano all'ombra di alberelli cittadini. Una Piacenza torrida e immobile. Un malato di mente fugge da una clinica, qualcuno muore, altri si fanno domande. Atmosfere vivide, una matassa di informazioni apparentemente inutili e uomini e donne che sono caricature di se stessi. 

In questo scenario si muovono molti dei personaggi conosciuti nel racconto/prologo sperimentale “L’enigma delle scarpe rosse”, fra tutti Jean-Luc Mocha. Attraverso i pensieri, la flemma e l'emotività del protagonista il racconto si dipana confinando a margine della storia le autorità e le consuete indagini di investigatori infallibili.

Un giallo alternativo di circa 40.000 parole.


PREFAZIONE 

C’è un uomo.
Un bell’uomo.
Un bell’uomo alto e vichingo.
Un tipo curioso, bizzarro come i suoi mocassini.
E poi ci sono una strega madrina, una fanciulla dalle gote delicate, il lupo cattivo, un principe azzurro, più simile a un cianotico ranocchio che al sogno romantico di ogni donna, un pezzo di formaggio andato a male, sassi levigati, pioggia inopportuna, grasse matrone d’Oltralpe e chiacchiere. Tante chiacchiere. Pettegolezzi di provincia. Sinuosi, serpeggianti, sussurrati con il sorriso.
Infine, cullata dalla calura estiva, c’è una piccola città scossa da efferati delitti.
Questa è la ricetta che Manuela Paric’ propone ai suoi lettori. Una discesa genuina nella piccineria umana, dove la violenza gioca a rimpiattino mescolandosi, subdola, tra le pigre pieghe grigie di un borgo dormiente. Non chiamatelo giallo, nessun protagonista di questa storia soffre di ittero.
Non definitelo noir, a meno che i temporali non vi oscurino lo schermo del Kindle.
Non bollatelo come thriller, questa non è adrenalina. È puro veleno.
E nessuna fiaba, sia chiaro, bensì una densa bruma che, come un sudario, vi avvolge.
Dunque auguratevi che il signor Mocha indaghi per voi. E qualora vi salvasse la vita, offritegli una tazzina di arabica purissima.

di  Vera Q.



PRIMO CAPITOLO

01. SPAZIO LIBERO 


L’infermiera svoltò l’angolo lasciando solo la luce fredda del giorno a occupare il lungo corridoio. Nella grande sala, un anziano vestito di blu era seduto accanto alla finestra; guardava fuori e muoveva la mano come se stesse dirigendo un’orchestra. Avanti e indietro, giocava con il vento, comandava le foglie. Le labbra rimanevano serrate, senza poesia, senza accenti, e gli occhi, sbiaditi e sudati, erano perduti.
Non sarebbe stato un impiccio.
Un ometto non particolarmente alto, decisamente non bello ma inaspettatamente agile, stava facendo scivolare fuori dalle doghe del vecchio divano un camice bianco. Con le mani abili da prestigiatore lo dispiegò in fretta e, in un unico gesto, se lo mise addosso. Nelle maniche non nascondeva colombe ma due mocassini marroni e un paio di occhialini tondi e seri. Accarezzò la punta delle scarpe e allineò i bottoni chiudendoli tutti con grande cura. Faceva scorrere le dita sull’asola e tirava la stoffa. Era pronto. Si diede un contegno, inspirò tre volte e, frugando tra le pieghe della poltrona, raccolse una cartelletta da diagnosi e una biro nera. Con passo tranquillo, cominciò a guadagnare l’uscita. Si ritrovò davanti alle camere dei reietti e, come spesso accadeva, gli parve di sentire urla, imprecazioni e formule occulte. Andò oltre; era necessario. Incrociò un inserviente intento a scrostare dalla parete qualcosa di organico e marrone. Lo salutò alzando appena le dita della mano che teneva lungo i fianchi, e questi rispose abbassando ancora di più lo sguardo: era evidente che non era una gran giornata per lui, figlio di partigiani, condottiero nello spirito e spalatore di merda nella cruda realtà. “Mendoza” lo chiamavano i dottori per via della pelle ambrata e dura e per quei lunghi baffi neri che gli imbrattavano il volto con garbo.
Doveva ancora attraversare il cortile quando una giovane volontaria lo afferrò per un braccio. Un breve sussulto, una modesta paura, subito abbandonata.
«Quale scala bisogna prendere per raggiungere l’ala est, quella dei pazzi?»
L’ala est, quella dei pazzi, proprio così l’aveva chiamata quella sgraziata donnina. Una magliettina infeltrita, scarpette comode e un sorrisetto di cortesia: erano abbastanza per disgustarlo. Frenò gli istinti, ancora una volta, e indicò a quella piccola cosa la via. Doveva fare in fretta. Avrebbero notato la sua assenza. Avrebbero capito. Il sole bruciava, bruno. Si sentiva ormai addosso il caldo di un’estate da vivere, la bramava. Non poteva correre. Non ora. Non poteva indugiare. Non lo avrebbe fatto. La libertà era a tre panchine, due matti e un gabbiotto da lui. Dribblò con successo una signora con i capelli gialli e le calze viola. Sembrava un missile: sfrecciava roboante nella sua direzione. Le caviglie grosse e le braccia tese, nella bocca il violento desiderio di una sigaretta: una questuante. Una folle panciuta che mendicava tabacco, vendeva storie, spacciava medicine e parlava con i piccioni. Disegnate sui denti macchiati aveva le prove della sofferenza e dei baratti. Come se non bastasse, un sorriso né triste né gentile, un sorriso sproporzionato le spezzava il volto.


Che orrore, pensò. L’ennesimo sporco accattone, un avanzo, un essere goffo da allontanare. Che repulsione! Finalmente inserì la tessera magnetica, firmò il registro, ricambiò il rapido sguardo della guardia che oziava incantata dal televisore e fuggì, leggero.

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Le porte che si aprono non sempre spalancano parole - Il Mondo Perfetto

Ultimo estratto del 1° capitolo del romanzo "Ordine Zero".

Questo libro non sarà mai un mero racconto di fatti.Perciò è importante fermarci a guardare Fabrizio,dal di dentro.Certo,sappiamo che scrive poesie a un'infermiera,dopo essere stato sul punto di crepare per un incontro di boxe finito male.Possiamo immaginare come si sente e,in parte,lo abbiamo saputo.Ci dobbiamo però soffermare su di lui per capire lo stato d'animo che lo attraversa,ora che un nuovo,e forse ingombrante,personaggio,sta entrando dentro la storia.Confuso.Fabrizio è un ragazzo di quasi diciotto anni (li compirà il giorno di natale,di questo 1967) che ha deciso cosa non vuole più essere.Lo ha deciso,tra una poesia e l'altra,dimentico ogni volta di chiedere il nome all'infermiera (anche se il lettore scaltro già sa che è il narratore,vostro umilissimo etc,che non lo vuole dichiarare,ancora); lo ha deciso facendo finta di non sentire le nocche pesanti che bussavano alla porta.Ha deciso che non vuole più essere un pugile e che non vuole più essere un figlio.Sa che se ne andrà di casa,anche se non sa ancora come.Confuso.E,come tutte le persone in questo stato,non ammetterà fino in fondo di esserlo.Per essere ancora più chiari è bene spiegare che dopo essere finito con la guancia sinistra (o era la destra?..ma,in fondo,non importa) sul fondo di un rettangolo morbido,semi-moribondo,non ha avuto nessuna commozione cranica.Non ha nemmeno mai pianto.Una volta guarita la frattura al naso,nessuno,trovandolo casomai in abiti civili nei corridoi dell'ospedale,avrebbe pensato che era un paziente.Tantomeno adesso che l'estate si avvicina e,timidamente,Fabrizio ha preso davvero a muoversi,con una camicia e una tuta,per i corridoi dell'ospedale,che è poi una rinomata clinica milanese.Ok,si dice Fabrizio: e allora perchè mi tengono qua? Sa da molti giorni quello che l'infermiera gli ha detto:che dovrà parlare con Ordigan.Ma non è quello il motivo per cui rimane là,anche se si sente guarito.No,non è nemmeno per la graziosa infermiera e per l'illusione che lei voglia davvero ascoltare le sue poesie,forse un po' troppo ardite o,ci direbbe un critico qualsiasi,strampalate.Siamo,o non siamo negli anni dell'avanguardia?Così,per non aver tenuto bene la guardia un boxeur minorenne si trova a scrivere cose sperimentali a Nancy Sinatra.


La prima volta che si è alzato per andare in corrridoio(la sua stanza,come tutte quante ha un bagnetto e una doccia personali) ha infatti trovato la porta chiusa.Ne ha riso.E' stato il giorno dopo che aveva letto all'infermiera la poesia sul naso.Finte le risa,ha però avuto la conferma che si trovasse dentro a un carcere.Erano le tre del pomeriggio,e si era calato sul letto,meditabondo.Si era risvegliato soltanto per i raggi concupiscenti dell'ultima aurora; dovevano essere nemmeno le sei.Guardandosi attorno,un po' sfiduciato,ha riprovato ad aprire la porta.Questa volta non era chiusa a chiave.Fabrizio ha avuto così modo di cominciare a girovagare per l'ospedale,sorprendendosi,ad ogni metro,del fatto che quello non fosse un corridoio d'ospedale ma un vero e proprio deserto.

-Ci sono delle telecanere-pensa Fabrizio e poi- Ho dormito tipo quattrordici ore.In quella frase c'è implicito il piccolo scoramento per non aver visto la sua guardiana bionda.Allora,si dice,avevo ragione quando pensavo che quella sarebbe stata l'ultima volta.Ma forse,avrà una vita fuori di qui pure lei,non ha potuto,magari suo padre è malato.E così,passeggiando in questo interminabile parallelepipedo opaco,Fabrizio si immagina la figura di lei,in abiti civili,accanto al padre morente:ha un viso diverso,sebbene Fabrizio sia sicuro che,nè in queste sue fantasticherie nè dal vivo,l'ha mai vista truccata,nemmeno un velo di fard o una traccia di rossetto.Si,capisco,si dice: è che,ora che me la figuro di fronte al padre morente,me la vedo com'è lei,non sta recitando una parte,com'è quando sta con me.Sono i pensieri dell'attesa,più lievi di quelli di un condannato ma meno superficiali delle idee che può avere un uomo libero.Forse,si dice,oggi sono venuti a cercarmi e non mi hanno trovato.Questa considerazione lo fa tornare quasi di corsa nella sua stanza,dove lo attende la spremuta d'arancia e i due cornetti alla crama,vicino a una bottiglia d'acqua minerale.Fabrizio,apre la porta,vede queste immagini,come nella traslitterazione di un quadro di Morandi,le fissa nella mente per qualche secondo.Richiude la porta,e si ritrova di fronte la sua infermiera/carceriera; sorride.

-Niente poesie oggi?

-Così,mi avete concesso un giro turistico,eh?- dice Fabrizio,in un tono irridente di cui quasi si pente,subito.
-Piaciuto,no?- risponde il camice,senza tener conto troppo del sarcasmo
-Quando esco?
-Fabrizio,poni la domanda in modo diverso..vuoi ?
-Quando lo vedrò?
-Oggi comincia l'estate,e stamattina,mentre tu percorrevi le ali dell'istituto,quasi con metodicità,ho avuto un colloquio
-Perchè non c'è nessuno in giro?
-E perchè avrebbe dovuto esserci?
-Su,perchè non c'è nessuno in giro?
-Sei un privilegiato
-Per averti incontrato?
Fabrizio ha l'impressione che lei arrossisca a comando,ma non senza aggiungere:
-C'è un motivo più importante
-Allora dev'essere davvero esagerato
Lei gli passa una mano tra i capelli e,invitandolo a sedersi sul letto (tutta la conversazione è avvenuta in piedi) fa roteare,in un punto imprecisato dell'aria,la sua mano destra.
-Pensavo che non ti varei più rivisto
-Sei vicino al vero-dice lei,spalancando completamente la porta.
Come mai non sei venuta,ieri?
E così le dice di suo padre.Lei gli mette,sorridendo un velo preoccupata,la mano sulla fronte,abbassa lo sguardo,fingendo vergogna;in modo smaccato,pensa Fabrizio.
Ho avuto un colloquio-dice,nuovamente,alzando lo sguardo,con un espressione determinata.
Non vuole parlare di sè-farfuglia,e poi,chiaramente:
Credo che oggi il quadernetto delle poesie resterà chiuso
Se tutti i pugili fossero intelligenti come te avremmo vinto la guerra-dice lei
O la contestazione- fa lui.
Ah.



#ScrittureBrevi - Rosanna Salvadori


Collegamento permanente dell'immagine integrata









Il cuore di Siena schiacciato 
dalle pesanti scarpe dei disonesti.












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sabato 29 marzo 2014

Haiku di Mr. BornTweetty

Dalla finestra: 
maledetti occhi! 
È tutto sfocato!

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#ScrittureBrevi - Rosanna Salvadori












I rottami della natura 
scricchiolano musica allegra 
per le orecchie.











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Poesia da Twitter di Blu

Questa pioggia non ti sa portare via. 
Petali di biancospino volano lontano nel vento gelido. 
Rimani ancora, spirito.

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Poesia di Mauro Cesaretti (Estratto da "Se è vita, lo sarà per sempre")

Il destino è scritto 
nelle onde del vento, 
negli occhi del sole, 
dentro il mio cuore.

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Pensiero da Twitter di Federica

Di questa pioggia leggera 
mi piace che bagna sorrisi.

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#DiscorsiCostruiti: La Libertà

Ecco i vostri commenti sulla Libertà.Vi abbiamo chiesto che cos'è... Ecco i vostri pareri. Buonanotte.


Federica R. - @fedram67
Libertà: sentirsi incoraggiati nel dare forma,dimensione a un'idea,cercare spazi nuovi ,ricreare sé stessi.
Franesco Casuscelli - @facasus
La #libertà è lo spazio che ci separa dalla libertà degli altri, la libertà non possiamo viverla da soli ma va condivisa.

Francesco Casuscelli - @facasus
La #libertà è verità.

Grandekuore - @Papryka5
#libertà primo unico grande valore da inseguire sempreAvere la mente LIBERA e' il solo punto fermo per una buona VITA.

Alessia Zullo - @AlessiaZullo
Non le impongo. Al contrario, io sono per la libertá, compresa la libertá dei gay di amare.Libertá è un principio.

Ketty - @kettydelbosco
(cancelliamo) non AMO cancelli #libertà (ana)grammi di vita.

Inezie Essenziali - @ineziessenziali
Anche la libertà di vivere dentro confini inviolabili è #libertà.

Antonio Corvino - @antoniocorvino5
Dove la #libertà è regola..... Avverto sempre #l'infinito!!!


Alfredo Donatucci - AlfDonatucci
La libertà non ha prezzo ma a volte, chissà perché, bisogna pagare il prezzo della #libertà...

Rosa Dc - @RosaaDc
E' possibile che ancora nel 2014 esista la #dittatura? Viva la libertà! #libertà.

Antonella Prigioni - @Anto_Prigioni
#libertà : sole e cielo azzurro.

Valerie Dupin - @valeriedupin
La prima condizione dell'Innovazione è la #libertà.

venerdì 28 marzo 2014

Haiku di Rosanna Salvadori

Il tronco secco 
Quando e' primavera 
Implora gemme.

Poesia da Twitter di Mr. Sefossiaria

Se un 
poeta fossi 
veramente non 
avrei timore di me, 
di te. Padroneggerei 
l'Arte, che tutto racchiude.

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SuzAnna - Il Mondo Perfetto

Corri Suzanne,corri spedita
non è per niente un gioco
                      la vita 
corri Suzanne, 
tendi la mano 
scappa nel cielo 
resta lontano 
fuggi Suzanne, 
chiudi le mani 
segui la strada 
tra i melograni 
voltati svelta,solo un momento 
le parole non ti servono 
la tua voce è simile al vento. 
E' finita,Anna Karina, 
racchiusa dentro te coi pugni serrati 
c'è un po' della ragazza 
che inseguivi da prima.

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#ScrittureBrevi - Chiara Minetti

Certe poesie sono selfie dell'anima. 
I miei preferiti.


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giovedì 27 marzo 2014

Estetica della follia - Emiliano Sergio Verga (Teatro)

(Diaologo)


CLOWN Perché non ridi?

PAZZO (Silenzio) Perché sei qui?


CLOWN Come sei scontroso!

PAZZO Perché sei qui?


CLOWN Sono venuto qui per rallegrarti, per lasciar filtrare la luce del sorriso fra le sbarre di questa prigione.


PAZZO Perché sei qui?


CLOWN (Silenzio) Ora basta parlare di me, sono qui per te, per il tuo divertimento.


PAZZO No.


CLOWN Come?

PAZZO So chi sei.

CLOWN (Silenzio) Perché sei qui?

PAZZO Perché porto un’elegante camicia di forza? Perché indosso la maschera di un pazzo? Ah ah ah! Tu, invece? Perché sei truccato da clown?

CLOWN Mi serviva una scusa per parlare con te; mi sono finto un volontario, un intrattenitore: in questo modo nessuno avrebbe badato alle mie parole, prendendole per barzellette, giochi, scherzi.

PAZZO Il clown è sovrano in un regno di scherzi! Ma cosa succede se il mondo diventa uno scherzo? Chi si trucca da clown e inventa i giochi di una realtà folle?

CLOWN Non mi pare così folle la realtà.

PAZZO No?

CLOWN Direi di no; proprio tu, ora, sei relegato qui, in un ghetto per folli. Pare che il mondo sia stato purificato dall’irrazionalità.

PAZZO Sei sicuro di ciò che vai dicendo? Il mondo sopravvive solamente grazie allo squilibrio.

CLOWN Il mondo cercherebbe di eliminare la linfa del proprio sostentamento? Non capisco.

PAZZO Purtroppo capirai. (Silenzio) Ricordi il nostro lavoro?

CLOWN Maestro, io sono ancora un artista, non ho mai smesso.

PAZZO Le tue opere sono prive dell’originalità che distingueva le mie! Sai, anche qui mi è permesso di leggere i giornali.

CLOWN Sì. Purtroppo è così.

PAZZO E’ questo il motivo, che ti ha spinto a venire qui. Lo so, l’ho intuito non appena ti ho visto entrare. Vuoi trovare quella scintilla, che nessun metodo o insegnamento ti potrà mai dare.

CLOWN Ho perfezionato la mia tecnica, ho studiato i grandi maestri, ma tutto ciò che io riesco a produrre sono… copie.

PAZZO Riproduci opere famose?

CLOWN No, no; i soggetti sono originali ma…

PAZZO Sono forme già concepite da altri in passato.

CLOWN Esatto. Eppure non riesco a capire: come può la singolarità di un’opera intaccarne la bellezza? La copia non ha la stessa grazia dell’originale?

PAZZO Non è la bellezza il fondamento dell’arte.

CLOWN No?

PAZZO No, è il valore.

CLOWN Vuoi ridurre l’arte ad una banale merce?

PAZZO Il prezzo è solo un flebile riflesso del reale valore: la sua unicità.

CLOWN No, non capisco! Parli di unicità, ma nessuno oggi si reca in un museo ad ammirare la novità o l’originalità di un’opera del passato, ma la sua bellezza.

PAZZO I musei non nascono perché tu possa vedere le opere d’arte: i musei permettono alle opere d’arte di continuare a guardare te.

CLOWN Le opere d’arte mi guardano?

PAZZO Riesci a sostenere lo sguardo di un ritratto? Non ti senti intimorito?

CLOWN Ma cosa…

PAZZO Rispondi! Non avverti un senso di inquietudine, non cogli l’alone di mistero che le avvolge?

CLOWN Non posso negarlo, ma mi pare assurdo questo discorso.

PAZZO E’ la follia di cui ti parlavo. Solo un visionario, un sognatore, può avvertire queste emozioni e riproporle, chiare e distinte, nelle opere d’arte, così che tutti le possano esperire.

CLOWN I musei assumerebbero il compito di preservare tali opere?

PAZZO Solo un prodotto eterno può animare i sentimenti dei posteri.

CLOWN No, no, è un ragionamento troppo semplicistico! Come giustificare allora il valore di testimonianza storica di un’opera del passato?

PAZZO Non vedo contraddizioni; credi, forse, che il valore storico sia antitetico con la capacità di suscitare emozioni? Ti sembra così strano che le agitazioni di un’epoca possano riflettersi nelle suggestioni degli artisti?

CLOWN No, no, ma… (Silenzio). Non riesco a capire.

PAZZO Lo so.

CLOWN Come può un oggetto diventare un’opera d’arte?

PAZZO Non ti ho mai detto ciò.

CLOWN No?

PAZZO No. Ti ho solo descritto le prerogative di un’opera d’arte, ma non la sua origine.

CLOWN Non è la stessa cosa?

PAZZO No. (Silenzio). Non esiste un’opera d’arte in quanto tale.

CLOWN Che cosa significa?

PAZZO La follia partorisce opere d’arte, ma è la razionalità a riconoscerle come tali.

CLOWN No, no, non capisco…

PAZZO Come hai colto tu stesso, la realtà tende alla razionalità.

CLOWN Quindi?

PAZZO E’ la società, che si erge a giudice della follia. (Silenzio). Solo la società attuale ha il diritto di riconoscere un’opera d’arte come tale.

CLOWN E’ impossibile! Non può dipendere tutto dal gusto della comunità.

PAZZO E’ questa la realtà.

CLOWN Ma è una follia!

PAZZO La realtà è uno scherzo: la comunità si trucca da clown e detta le regole del gioco… E tutto diventa una barzelletta. (Silenzio). Perché non ridi?


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Pensiero da Twitter di Marcello Vitale

La poesia non è sempre 
dolce come si crede, 
se esce dagli schemi 
t'assassina il cuore!

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Poesia da Twitter di Mr. Sefossiaria

Il tuo corpo è un mezzo, 
un qualsiasi mezzo, 
che la tua anima ha usato 
per mettere fine 
all'urgenza d'averti.

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#ScrittureBrevi - Giorgio

Ci sono momenti 
che più non tornano 
circostanze non più 
ripetibili...

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mercoledì 26 marzo 2014

Pensiero da Facebook di Ivan Ciano

Sento ancora la sua pelle sulla mia, le sue labbra unirsi alle mie, con l'intensità di chi si ama, di chi si desidera.. Ma alla fine resta solo il pensiero amaro che lei non sarà mai mia, perché il suo cuore non è più quello di una volta.. Non mi arrendo, questa volta no.. Questa volta sarò forte, e nel bene o nel male, vivrò con la consapevolezza di averle dato il mio mondo, il mio cuore..la mia anima!!

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Nazichan - Jacopo Marocco

Max è cotto. Lo vedo. Lo vedo da come si muove agitato, dalla faccia che sembra spaurita, dagli occhi, ma soprattutto, lo vedo da come si carezza nervosamente la testa, perfettamente tonda e rasata.Ha deciso che vuole andare a prendere qualcosa da bere al bar all’angolo, quello gestito dai cinesi. Io gli ho detto:“Col cazzo che ci vengo dai cinesi!”, e gli ho ricordato che anche lui li odia, i cinesi.Così lui ha detto che sì, è vero che odia i cinesi, ma che stasera gli è presa così, che quando è strafatto di anfetamine non sa dirsi di no e che se gli prende una voglia deve accontentarsi e che poi, ha continuato, non ci sono, nelle vicinanze, bar che non siano gestiti dai musigialli.Così io ci penso su e, forse per emularlo, anche io mi carezzo la testa – mi piace sentire i capelli cortissimi che mi grattano la mano. Nel frattempo mi sparo un’altra botta di speed, la penultima – l’ultima la lascio a Max: per inciso, ‘sta roba doveva durarci tre giorni, fino a capodanno, ma alla fine ce la siamo sparata tutta tra oggi pomeriggio e stasera – e alla fine deduco che sì, Max ha ragione. Max ha sempre ragione, soprattutto sotto anfetamine. So un cazzo com’è, ma è così. Allora mi allaccio bene l’anfibio destro, osservo la mia faccia slavata e inespressiva allo specchio e dico:“Va bene, andiamo”Non siamo entrati del tutto nel bar, che Max già ordina due amari, due Fernet – che non ha pronunciato così, ma FeLnet, calcando sulla L.Non so perché, ma ogni posto dove ci sono cinesi prende quel loro cazzo di odore che è un misto tra la puzza di fritto e quella di sudicio. Anche qui, che è un bar, si sente odore di fritto e di zozzume – quando il bar era di Pietro, e noi ragazzini ci venivamo a giocare a biliardo, non puzzava così, certo non profumava, ma non puzzava in questa maniera.Dietro al bancone ci sono due ragazzine, cinesi, ovviamente. Avranno al massimo diciotto anni, e indossano entrambe un cappellino di Babbo Natale. Come si adattano subito questi musi gialli del cazzo, penso.Una delle due cinesine ci prepara da bere: ci riempe fino all’orlo – giuro, fino all’orlo! – i bicchieri di Fernet, neanche fosse, chessò, Coca-Cola. Max mi guarda, mi fa l’occhiolino e dice:“Cazzo, guarda, questi sarebbero sei di Fernet in un bar normale!”Io lo guardo spalancando gli occhi, cercando di fargli capire di abbassare la voce, così lui, sorridendo, dice:“Ma mica capiscono un cazzo queste di quello che diciamo!” e mi da una pacca sulle spalle.Mi guardo intorno: nel bar, oltre a noi e alle cinesi, non c’è nessuno, d’altronde è tardi…anzi no, c’è un vecchio, uno delle parti nostre, vicino ai video poker, addormentato su di una sedia, davanti a sé diversi bicchieri vuoti.Max prende in mano il suo bicchiere, io il mio, e prima di brindar mi si avvicina e, stavolta a voce bassa, mi fa:”Queste qua ci stanno…” facendomi di nuovo l’occhiolino.Io abbozzo un sorriso, piego le labbra all’ingiù, come a dire: Boh, non so. E allora Max, mi da un’altra pacca sulle spalle, e insiste dicendo:“Fidati, ci stanno, dai retta a me”Sono sicuro, sicurissimo che ha frainteso: lui pensa che la cinesina ci ha riempito i bicchieri di Fernet perché gli interessiamo, gli piacciamo, e non perché non capisce un cazzo di quanto sia la dose di amaro che va in un bicchiere da servire al banco.Max è convinto di essere irresistibile.Senza poi brindare, Max manda giù da bere in due sorsate. Io lo seguo e, mentre reprimo un conato di vomito, mi fa:“Una cinese non la toccherei nemmeno col cazzo di quel vecchio addormentato laggiù, ma tutta quella roba che ci siamo presi oggi, m’ha messo una certa voglia di scopare addosso…”Non so come mai, ma a me le anfetamine me la tolgono la voglia di scopare.Max ordina altri due Fernet.Io gli dico di aspettare a bere di nuovo, che è da oggi a pranzo che beviamo, che tiriamo e che ingoiamo pasticche.Lui dice solo:“E sii uomo, cazzo!”La cinese, neanche a dirlo, ha già riempito di nuovo i bicchieri. Fino al bordo, ovviamente.Con la sua amica musogiallo ci guardano di sottecchi e, ogni tanto, ridono sommessamente.Max se ne accorge, le indica col mento, e sorridendo mi fa di nuovo l’occhiolino. Poi prende i bicchieri pieni di Fernet, tanto che un po’ ne cade da entrambi, me ne porge uno. Io, titubante, lo prendo.“Stavolta bisogna brindare, però!”“Va bene, a cosa?”“Al Duce”Annuisco, sono preoccupato.“Al Duce” diciamo quasi all’unisono sbattendo i bicchieri, e spero che coda più liquido possibile.Max ingoia tutto alla goccia.Io ci provo, ma il Fernet nemmeno è arrivato in gola che sento tutto quello che ho dentro lo stomaco tornare su impetuoso, prepotente.Riesco a malapena ad appoggiare il bicchiere sul banco, mi porto una bocca, che cerco di tenere serrata, e mentre le mie guance si gonfiano di vomito, corro, scattando sulla destra dove prima, entrando, ho visto l’insegna WC.Apro una porta, c’è un antibagno con un lavandino e uno specchio, lo oltrepasso con i rivoli di vomito che mi fuoriescono dalla bocca, dalla mano e scendono giù lungo il collo. Apro un’altra porta, senza riuscire a chiudermela dietro, e trovo il water, finalmente. Mi ci metto con la faccia sopra, tolgo la mano, e dalla bocca mi parte il più potente getto di vomito della mia vita.Sembro Linda Blair ne L’Esorcita, quando vomita addosso a Padre Kerras.Cado sulle ginocchia, e abbraccio il water.Non so se sia possibile ma sento i capillari dei miei occhi e dei miei zigomi esplodere, tanto è lo sforzo.In un attimo di tregua del mio stomaco, sento qualcuno alle mie spalle, nell’antibagno. Sento confusione, rumore come di schiaffi, qualche mugolio. Mi giro, ma ho gli occhi pieni di lacrime dovute allo sforzo di rimettere, e non vedo nulla. Distinguo due figure, però. Poi sento una voce familiare, è quella di Max, che fa:“Su prendilo musogiallo, lo so che lo vuoi, è tutto tuo”Sto per dire qualcosa, ma il vomito torna potente e sono costretto a darci di nuovo, dentro al water, non riuscendo più a sentir nulla.Quando finalmente mi sento vuoto, mi asciugo gli occhi con una manica del bomber.Sento qualcosa bagnare le mie ginocchia. Penso che sia un po’ di quel vomito che non ho centrato nella tazza appena entrato, così guardo, ma vedo che a bagnarmi le ginocchia non è vomito, ma un liquido rosso vivo. Un liquido che mi circonda piano piano.Mi giro di scatto, verso l’antibagno, e la prima cosa che vedo è Max, seduto per terra, con le spalle al muro, in una posizione un po’ storta, sembra uno di quei barboni ubriachi che incontri per i marciapiedi della stazione. Ha il mento appoggiato sul petto e gli occhi socchiusi, da cui si intravede una sottile linea bianca. Dal naso gli scende un vistoso rivolo di sangue, ma non è quello che arriva fin qui. Dallo stomaco di Max esce fuori un pezzo di una stecca da biliardo. Se ne sta lì, bella dritta, come se fosse un enorme erezione. Ed è dalla ferita che gli ha aperto la stecca che esce il sangue che arriva fino a me.C’è una cinesina in lacrime, e un’altra che sta dando piccoli calci al corpo senza sensi di Max, urlando qualcosa in cinese.Credo che Max sia morto.Non riuscendomi ad alzare – vorrei tanto ma non ci riesco -, cerco, da dove sono e dove rimango, di girarmi ancora di più, per avere una visuale maggiore, migliore.Vedo il vecchio che prima dormiva di là sulla sedia, ora in piedi a pochi passi da me. Mi guarda fisso negl’occhi. Il suo sguardo è inespressivo. In mano ha l’altro pezzo della stecca da biliardo. Se lo porta con entrambi le mani sopra la testa, per caricare il colpo, si ferma un istante e dice:“Nazisti di merda!”Ed è l’ultima cosa che sento.FINE.
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Caffè - Enrico De Santis

Caffè

Scusa per un appuntamento
te ne stai li immobile, per un momento.
Ascolti mille parole, mille sogni
assecondi tanti amori, tanti bisogni.
Scuro e pure trasparente
trasformi in reale l'apparente.

Caffè

Rispecchi due volti
che si affaccian capovolti.
Svanisci in fretta
qualcun altro ti aspetta.

Caffè

Compagno di solitudine
dolce o amaro ossequio all'abitudine.


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#ScrittureBrevi - RosannaSalvadori

Lenta procede la lumaca
A testa china
Ma un ostacolo drizza l'orgoglio.

martedì 25 marzo 2014

Ritratti, con uno che prova a disturbare - Il mondo perfetto

Ordine Zero - 6° Frammento, primo capitolo

Oggi come oggi,pensa Fabrizio,scrivere poesie non ha più molto senso. Si dice, nell'ora del tramonto, lo stesso discorso,motivandolo con i medesimi argomenti.La luce dorata di primavera lo accompagna, perché sembra proprio che quest'anno la pioggia e la foschia si siano dimenticati di Milano. Ma su questo l'ex pugile non scrive niente. Si,l'avrete capito:scrive poesie d'amore.Forse,in appendice a quest'opera,ne potrete leggere qualcuna.Per adesso Fabrizio le raccoglie sui tovaglioli e su un quadernetto con la copertina blu che gli hanno fatto avere.Se non stesse tutto questo tempo a pensare alle poesie,per poi rendicontare nella luce eterna del crepuscolo,si chiederebbe con maggiore insistenza perché ogni cosa che domanda gli viene esaudita.Ha chiesto,con voce imperiosa, di non avere visite,e la primavera trascorre con un mondo limaccioso che si immagina,fuori,ma senza facce note a fare capolino.Entra per i pasti l'infermiera.Lui le legge le poesie,e lei sorride.Non si domanda se lo fa per compiacerlo e,mentre addenta vorace un petto di pollo inondato di limone,si accontenta di quei sorrisi.
Fabrizio è proprio quello che sembra:un'anima semplice.Una spiegazione possibile del suo provare a farsi strada prendendo cazzotti in faccia,e sulle scapole etc,è proprio questa sua semplicità:la scuola è una merda;la lascio.Mio padre è un nazista;provo a fuggire.Così si ritrova in un ospedale,a scrivere versi a un'infermiera che,anche se non vuole ammetterlo a sé stesso,è un poco la sua carceriera.Le anime semplici non ammettono mai le cose troppo velocemente ma,qualità non comune,la semplicità di Fabrizio si unisce a un'intelligenza verace e profonda,cosa che non può sottrarlo a tante sfumature,e a qualche dolore di troppo.Non è uno sfigato,ma nemmeno un bel tenebroso.Un giorno d'autunno del 1986,guardando una sua foto a colori,una persona non meglio identificata gli dirà:"Ehi,ma qui sembravi Cristopher Lambert!".Questa anonima fonte ha tra le mani un ritratto del protagonista proprio negli anni successivi al suo ricovero,e quindi alle prime pagine della sua storia per noi.Fabrizio arrossisce (benché non abbiamo molte notizie della sua vita dopo la trentina,sappiamo che questa sua peculiarità non lo abbandonerà mai).In realtà i capelli sono più scuri,meno biondi e i tratti meno perfetti.Però in quella foto sorride,e la cosa cambia le carte in tavola.Dove gliel'hanno fatta?
La stanchezza lo prende subito dopo la colazione e avrebbe molta voglia di riaddormentarsi presto; cosa che non fa solo perchè gli è venuta in mente un'altra poesia.Sa che l'infermiera (di cui per ora non riveliamo i dati anagrafici) giudicherà i suoi scritti sempre più audaci e non gliene importa lo stesso.Se sono stato un cattivo pugile,si dice,allora sarò anche un cattivo poeta: solo che qua nessuno mi ammazzerà o tenterà di ammazzarmi,solo per il fatto che scrivo 'ste cose.
Così all'ora di cena (alla fine della degenza Fabrizio ancora non si sarà abituato alle cadenze dei pasti) l'infermiera entra fischiettando As tears go by,di solito,ma mica sempre,che vuole prima vedere com'è l'umore del suo poeta; di solito è buono, e lei entra fischiettando e sculettando,che è un po' come se pronunciasse il suo nome a voce alta.Lui le da il quaderno,lei ride e legge; si,esatto: ride,spesso,preventivamente.Lo fa perché si immagina le cose matte che quel ragazzo che aveva il naso spezzato può aver scritto.Legge i titoli e li indica,con il suo indice ben curato:"E che significa questo?".
Chi scrive non deve rompere la poesia delle cose,ma neppure negare la realtà.Così il romanziere non può girarsi dall'altra parte,e fare finta di non vedere.Non può lasciare che 'sto ragazzo con il naso scassato si beva tutti quei sorrisi.E lo stesso in fondo accade a Fabrizio:sa che lei recita un ruolo,sta lavorando,le hanno detto di essere premurosa e carina.Una nurse modello.Così fa finta che tutto ciò sia spontaneo:le illusioni lo aiutano un po' a dimenticare tutte le botte che ha preso.Ok,aggiunge poi,queste sono le tue bugie del cazzo.Sa che non può escludere una parte di verità,in quella finzione.Gli dispiace perfino che non ha più il suo vecchio specchio.E come la sente fischiettare As tears go by,lei che invece gli ricorda troppo Nancy Sinatra,che davvero le mancano solo gli stivali e la minigonna,apre le sue ali giovani ma indolenzite.E' solo per continuare quell'illusione che non fa troppe domande.Sa,infatti,che lei le risponderebbe.
Ogni tanto qualcuno prova a disturbare quei colloqui bussando timidamente alla porta.L'infermiera si scusa e va verso l'entrata marroncina,la apre per tipo due secondi e non dice nulla.Certo,pensa lui,non vorrei essere nei panni di quel disturbatore.Solo una prima volta ha chiesto se si trattava di un suo parente che lo reclamava.La ridente con il profilo della Sinatra,l'ascoltatrice indefessa,ha detto no.Se non si può con certezza spiegare la fiducia in uno sconosciuto allora non credo si possa farlo qui,una volta per tutte.Se fosse meno bella,si domanda banalmente Fabrizio,si fiderebbe allo stesso modo?
Ti amo,dice qualcuno,e la stanza ne è riempita.L'infermiera punta il dito e poi-in un sussulto di sincerità- Ti amo,è un titolo davvero semplice per una poesia (butta là un semplice ma pensa banale).
Leggi che c'è scritto tra parentesi-dice Fabrizio
... Ti amo (e lui ringrazia).Così esce fuori che sono dei versi in cui la protagonista,alla fine,non è né lei, né un eventuale amore etc,bensì il naso di Fabrizio,che,commosso,non vuole guarire:è grazie a lui,se l'infermiera e il pugile poeta si sono incontrati.Certo:è anche grazie a una bestia che ha picchiato pesante,e per poco non lo faceva crepare con una guancia sul tappeto. Sull'ultimo verso bussano,ancora una volta,come tutti i giorni.Lei fa spallucce,e sorride,poi si alza lentamente e come fa sempre apre e richiude lo stipite.
Ci disturbano sempre-dice,risedendosi sul ciglio del letto.
Fabrizio si sfiora il naso.Immagina il disturbatore molto diverso da come è nella realtà. Perché lo vede in una grande grotta striata di grigio; solo dopo esserci entrato capisce che quell'antro è un ring.Non c'è pubblico.Le nocche dell'impudente ora,però,non sfiorano un parallelepipedo di mogano;no,sono dirette alle sue cicatrici,alle sue ferite principali.Uno così farà strada nella boxe, perché è cattivo,pensa lui.Il cuore,la perseveranza e blabla live;ma se non sei un animale in quel mondo non vai avanti.Poi,come niente,ributta gli occhi sul quadernetto blu,e poi di nuovo in faccia alla sua carceriera.Fa appena in tempo a ricordarsi che i contorni del viso del disturbatore sono opachi e,in tutto quel grigio,non sa proprio chi sia.Se non sentisse in faccia i suoi pugni pesanti neanche saprebbe che è un uomo.
Forse sei pronto-dice lei
...
La vita precedente di lei diviene un richiamo dolce,e vuole osservarla ancora un poco,per capire,ascoltarla.Ma sembra che tutto 'sto tempo non ci sia,nemmeno nascosto in tutta quella pace da clinica del nord.
Si,Fabrizio?
... 
Ho assicurato a Ordigan che quando ti saresti messo in sesto,ti ci avrei fatto parlare
Chi è...Ordigan? -domanda Fabrizio,e assapora una strana familiarità con quel nome,pur non avendolo mai sentito prima.
Indovina...scommetto che questo lo indovini-dice schioccando le dita
Quello che rompeva il cazzo,bussando- dice Fabrizio,che,pur in presenza di una donna,e con delle poesie tra le mani,non dimentica di essere un anima semplice,e adesso pure un po' infastidita.
Dillo meglio...
Parlami di lui.
E davvero l'ascoltatrice di poesie e chiuditrice di porte, inizia a parlare,nei dettagli di 'sto Ordigan.
Solo che,ad ogni sua parola,Fabrizio sente che non la vedrà più così spesso,anzi,ascoltando solo il suono della sua voce,qualcosa gli dice che potrebbe non rivederla più.Cerca allora di memorizzare il suo viso e si dice,ingenuamente,che è tutta colpa dell'uomo che bussava.Poi getta lo sguardo sul muro.
Lui ha capito chi è,e sapeva che prima o poi sarebbe comparso.Ora a quella venuta può associare perfino un nome.
Mi sa che da domani As tears go by dovrò fischiettarmela da solo- pensa 
Raccontami tutta la tua vita-dice poi,sempre guardando il muro,come fosse una richiesta vitale.
Tutte le poesie e le chiacchiere hanno avuto la meglio sul petto di pollo,che è ancora là,affogato nel limone.Lo guardano tutti e due,chiaramente pensando ad altro,qualcosa senza importanza per il mondo fuori.
Di noia si crepa-dice lei,nell'ora esatta in cui fuori fa buio,in una sera di di tarda primavera.

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